La musica proviene da un buco. Essa può scegliere di ricoprirlo con la bellezza armonica, e speculare così sull'essere, con il fremito della promessa o della nostalgia. La modernità dopo Duchamp ha introdotto un'altra via: quella di «disattivare la nozione di bello», di cercare «un'altra risonanza» e di «far suonare un'altra cosa diversa dal senso»1.
Sono prese allora come materia le qualità intrinseche del suono. Dopo lo sviluppo dell'elettroacustica, tutti i bricolage sulla materia sonora «concreta» e non sublimata sono possibili. In questa mobilitazione dalla parte maledetta dell'udibile, l'effetto di buco blocca l'effetto di senso.
Questo effetto di buco si riduce in definitiva alla risonanza. Questo buco è meno l'effetto della produzione musicale che ciò che è consustanziale a tale produzione, identico, lì, dove esso crea una risonanza, alla sua causa.
Questa risonanza non è ciò che sussiste del sonoro quando l'uditivo vira al silenzio, o ciò che l'orecchio respinge per trattenere solo l'acustico dei suoni? Quando le campane della chiesa in montagna smettono di suonare, è tutta la valle che vibra di un tappeto di risonanze evolutive, di cui non si saprà più, dopo un po', se c'è ancora riverbero. Lì, dove l'uditivo diventa incerto, sorge il sonoro; è lì dove silenzio e sonoro si confondono, siamo nel tempo della voce. La risonanza è solo l'effetto delle cavità che campana e valle materializzano. Prima della sua inscrizione nel mito, la cavità dello shofar fa intendere innanzitutto il puro grido del non scrivibile.
In queste nuove musiche, notava Serge Cottet, non è il fascino, ma l'estraneità o l'angoscia che sono all'appuntamento2. Esse non adottano il soggetto, piuttosto lo allontanano dal sentimento che l'Altro musicale lo intenda e lo «riconosca».
È che il corpo che essa sollecita non è quello dell'eco immaginaria, ma quello dotato di buchi intorno ai quali la pulsione si organizza, e che hanno la loro propria risonanza reale. Se l'inconscio, strutturato come una ninna nanna, tempera la sonorità di lalingua, quali shock possono farlo uscire dai suoi solchi, per produrre quest'«altra risonanza»? Queste musiche, che lavorano con le densità e le intensità piuttosto che con la tonalità o il ritmo, che rifiutano la catarsi ma puntano al sonoro che buca l'uditivo, ci insegnano qualcosa? Certamente non prendono di mira l'emozione. E ancora prima che una promessa di rapporto possa installarsi, hanno già fatto intendere che tra pulsione e pulsazione, tutto è desafinado.
[1] J. Lacan, Le Séminaire. Livre XXIV. L'insu que sait de l'une-bévue s'aile à mourre [1976-1977], inedito, Vers un signifiant nouveau, lezione del 19 aprile 1977, (traduzione nostra), in Ornicar?, n. 17/18, Printemps 1979, pp. 15-16.
[2] Cfr. S. Cottet, Musica contcontemporanea: fuga del suono, in La Cause du désir: "Ouï! En avant derrière la musique", numero fuori-serie, Parigi 2016. Testo consultabile al seguente indirizzo: https://www.slp-cf.it/rete-lacan-50/musica contemporanea-la-fuga-del-suono/


